Carissimi amici,

per capire Aldo Spallicci, uomo politico, occorre fare riferimento al Risorgimento che in Romagna ha avuto uno svolgimento del tutto particolare realizzandosi nel nome degli ideali mazziniani e garibaldini, avendo come obiettivo, oltre che l’indipendenza e l’unità d’Italia, un governo repubblicano, la Repubblica.

Per inciso vorrei ricordare che il Risorgimento romagnolo ha dato un altissimo contributo di pensiero, di azione, di sacrificio, di sangue.

Aldo Spallicci è un illustre figlio di questo Risorgimento e certamente uno dei più significativi interpreti ed eredi.

Aldo Spallicci politico va ricordato come uomo di austera vita, di grandissima umanità e bontà, aperto al dialogo ed alla tolleranza, esemplare figura di repubblicano mazziniano che, degli ideali del Maestro, fece la sua pratica di vita; galantuomo di cristallina coerenza, patriota nel solco della più genuina tradizione garibaldina, combattente indomito per la libertà e la democrazia, perseguitato politico durante l’intero ventennio fascista, dotato di altissimo senso del dovere, fervente romagnolista.

Dopo aver conseguito la laurea in medicina presso l’Università di Bologna, nel 1912, all’età di 26 anni si iscrive al partito repubblicano. Ricordando quell’evento, Spallicci ha scritto: “Firmai una tessera indossando la camicia rossa”.

Subito dopo parte volontario con la spedizione garibaldina, guidata da Ricciotti Garibaldi, in aiuto dei Greci in lotta per la loro libertà contro l’impero ottomano.

Rientrato in Patria, dopo aver svolto una intensa propaganda interventista, rompe ogni indugio, arruolandosi volontario coi garibaldini accorsi in aiuto della Francia, già in guerra, e quando l’Italia entra in conflitto con l’Austria, parte volontario, inquadrato, come medico, nell’11° Reggimento della Brigata Casale che si copre di gloria sul Podgora.

Così la massima garibaldina che fa un dovere correre in soccorso degli oppressi ovunque essi lottino contro gli oppressori, era diventata norma di vita per Aldo Spallicci.

Alla fine della 1a guerra mondiale, Spallicci partecipa attivamente alla vita politica romagnola. Ha lasciato scritto: “Politica e Romagna sembrano e sono in realtà due termini indissolubili e non si può parlare dell’una senza accennare all’altra e viceversa.”.

Nell’azione politica di Spallicci c’è sempre la Romagna intesa come una precisa identità storica, culturale, antropologica, e perciò degna di una propria autonomia.

In questo spirito va vista anche la fondazione della rivista “La Piê”, il cui primo numero esce nel 1920 e che, dopo alterne vicende, fra cui il sequestro di alcuni numeri, viene definitivamente soppressa nel 1933, dopo aver pubblicato un articolo dal titolo “seguitiamo a dire Romagna perché vogliamo essere noi stessi”. Il decreto di soppressione così recita: “perché nel suddetto articolo si affermava la preminenza di partigiana idea di autonomia, bandita dal sentimento nazionale e dal ritmo della vita fascista”.

Quando il fascismo si affermò definitivamente, Spallicci non cedette né alle lusinghe né alle minacce e continuò a rappresentare un punto di riferimento preciso per tutti gli antifascisti.

Continuò la sua professione medica ed i suoi studi, conseguendo la libera docenza in Clinica pediatrica presso l’Università di Bologna, che gli verrà revocata nel 1931, quando il regime pretese, pena l’espulsione dall’insegnamento, il giuramento di fedeltà al fascismo dei docenti universitari, i quali, per la cronaca, aderirono in massa alla richiesta, salvo 12, dico 12 insegnanti.

Ma a Forlì Spallicci dava fastidio specialmente ai gerarchi locali, che usavano ogni mezzo per fargli cambiare idea o per lo meno farlo tacere. Racconta Spallicci che la sera squadre di fascisti passavano sotto la finestra della sua abitazione cantando versi molto ammonitori: “Con la barba di Spallicci / noi farem gli spazzolini / per Benito Mussolini”.

Alla fine viene arrestato, condotto in Questura dove il questore gli ordina di lasciare Forlì, mentre il federale raccomanda ai suoi fascisti di “despallicciare” la città, quasi si trattasse di lebbra.

Così nel 1926 Spallicci si trasferisce, con tutta la famiglia (moglie, tre figli e madre) a Milano, dove vive in ristrettezze economiche ed è continuamente sorvegliato dalla polizia politica, l’OVRA, che fa il suo odioso mestiere con grande efficienza.

L’infermiera dell’ambulatorio è una spia e riferisce ai suoi superiori i contatti che Spallicci tiene con gli amici antifascisti a Milano ed in Romagna.

Un paziente, curato e rifornito gratuitamente dei medicinali, è un informatore dell’OVRA. Lo denuncia e chiude la sua relazione con queste parole: “cosa si aspetta a relegare in un’isola questa livida figura di antifascista?”.

Ne segue il confino e nel 1941 viene spedito a Mercogliano, sperduto e povero paese in provincia di Avellino, con tutta urgenza. Vi giunge il giorno di Pasqua e vi rimane per qualche mese. Ritorna a Milano, ma per i continui bombardamenti aerei sfolla a Milano Marittima, dove nel 1943 è nuovamente arrestato e trasferito nel carcere milanese di San Vittore, da dove sarà liberato alla caduta del fascismo.

Aderisce subito, con immutato spirito garibaldino, alla Resistenza, operando in clandestinità nel Ravennate, dopo essere sfuggito alla cattura.

Il 2 giugno 1946 si realizza il grande sogno di Spallicci: la Repubblica.

Viene eletto Deputato all’Assemblea Costituente ed ha la soddisfazione di constatare che nel Referendum Monarchia o Repubblica, nel Comune di Ravenna, i voti favorevoli alla Repubblica segnano la più alta percentuale registrata in sede nazionale. Il seme coltivato in tante lotte che avevano visto Spallicci in prima fila, aveva dato buon frutto!

Alla Costituente di batté, con grande passione e con dovizia di argomenti, per la abolizione delle Province e per la realizzazione della Regione Romagna.

E quando l’Assemblea Costituente decise di non creare nuove Regioni, lasciando, però, la possibilità di farlo in seguito, con l’articolo 132 della carta costituzionale, Spallicci prese la parola: “Desidero che rimanga agli atti questo mio auspicio del riconoscimento, in avvenire, di una Regione autonoma romagnola, la quale comprenda la vera Romagna: due province (Forlì e Ravenna) con la costituenda provincia di Rimini ed il Circondario di Imola”.

Nel 1948 viene eletto al Senato nel collegio di Ravenna, nel 1953 nuovamente al Senato nel collegio di Cesena, come candidato comune del PRI e della DC, in una campagna elettorale burrascosa, in cui dovette sopportare attacchi pesantissimi circa una sua tradita coerenza. Alludo, ad esempio, ad un manifesto elettorale in cui Spallicci figurava con in testa un enorme cappello da prete.

Nei primi tre Governi guidati da De Gasperi, ricoprì la carica di Commissario aggiunto all’Igiene e alla Sanità, dove, con passione, riportò la sua esperienza medica e la conoscenza della sanità.

Nel 1964 si svolse il congresso nazionale del PRI. Vi si scontrarono duramente la corrente guidata da Ugo La Malfa, favorevole all’avvio dell’esperienza del centro-sinistra, e quella contraria guidata da Randolfo Pacciardi (a cui aderiva Spallicci).

Prevalse, anche per l’apporto massiccio di voti dei delegati romagnoli, l’impostazione lamalfiana con l’espulsione di Pacciardi.

Spallicci uscì dal PRI convinto che la nuova linea politica fosse del tutto estranea ai tradizionali valori del mazzinianesimo, aderendo al nuovo movimento creato da Pacciardi, “Nuova Repubblica”, che non avrà successo elettorale.

Per Spallicci, già abbastanza anziano, si apre il periodo più amaro della sua vita politica. Soffre l’ingratitudine e l’abbandono di tanti amici, vive ormai isolato dal sistema politico, sotto il fuoco di pesanti polemiche, fino alla morte avvenuta a Premilcuore, il 14 Marzo 1973.

Il settarismo dei suoi avversari si manifesta, per l’ultima volta, con il rifiuto del Comune di Forlì di concedere l’Auditorium per farne la “camera ardente”.

Il Professor Balzani, ricordando recentemente Spallicci, ha osservato che l’ostilità del passato si è tramutata in una convinta esaltazione della sua personalità politica e per quanto ha fatto per la Romagna.

Personalmente condivido questa osservazione, assieme a tutti i Romagnoli. Oggi Spallicci è realmente l’anima vera di tutta la Romagna.

Se di un uomo si può dire che ha servito totalmente la propria terra e la propria gente, bisogna dirlo di Spallicci, che giustamente merita l’appellativo affettuoso di “bà dla Rumagna” che molti di noi gli hanno dato, da tanto tempo, che egli merita come uomo, come cittadino, come patriota, come poeta.

Egli ha fatto propria, per tuta la sua vita, la causa della amata sua piccola Patria (la Romagna) che per lui era il passaggio verso la più grande Patria (l’Italia) per arrivare all’Europa.

Certamente in Romagna il nome di Aldo Spallicci resterà per sempre fra i più grandi e come tale noi lo onoriamo.

Bertinoro, 6 ottobre 2013

Lorenzo Cappelli