Medioevo e Esarcato

Dalle origini della Romagna alle vicende sotto l’egida papale
La denominazione del territorio romagnolo (Romanìa, Romandiola, indi Romagna) risale a tredici secoli fa e si attribuisce ai Longobardi che, quando giunsero in Italia, non occuparono il nostro attuale territorio (delimitato a nord dai fiumi Sillaro e Reno, ad est dal mare Adriatico, trasversalmente, da ovest a sud, dallo spartiacque appenninico dalla sorgente del fiume Sillaro allo sperone di Focara, sotto Cattolica).

Nei successivi tre secoli, la Romagna restò come una sorta di “insula” rispetto al restante territorio italiano e fu autonomamente governata dall’Esarca di Ravenna con leggi, lingua e costumi romano-bizantini.

In seguito, il territorio romagnolo venne attribuito alla Chiesa dai Re franchi, caratterizzandosi fortemente per le varie Signorie che si susseguirono e per i Comuni, spessissimo in lotta fra di loro ed oscillanti fra il Papato e l’Impero. Quando, poi, la Chiesa si diede una struttura amministrativa periferica, l’intera Romagna fece riferimento alla Legazione Pontificia ravennate.

Dante all’interno della Divina Commedia ricorda ripetutamente la Romagna e ne delinea con esattezza sia il territorio che le Signorie. E quando Papa Borgia (1500) decide di organizzare un “antemurale territoriale omogeneo contro le possibili invasioni d’oltralpe”, dà vita al Ducato di Romagna, destinato a durare pochi anni, ma che ricalca, ad otto secoli di distanza, la dimensione dell’antica Romandiola.

Romagna

Risorgimento e post Risorgimento

Dai moti Risorgimentali all’illusione di una Regione autonoma
La Romagna fu attivissima, dopo la discesa in Italia di Napoleone (fine ‘700), nell’acquisizione e diffusione degli ideali della Rivoluzione francese, ed è questo l’humus di fondo sul quale si innestano le vicende risorgimentali della nostra gente e che le porta a schierarsi prevalentemente sotto le bandiere di Mazzini e Garibaldi.

Nel 1859, dopo i plebisciti che sancirono l’unità d’Italia, si accarezza per qualche tempo la realizzazione di uno Stato regionale, suffragato dagli organi tecnici competenti in funzione della riconosciuta “diversità” e del “comune sentire” delle sue popolazioni. L’ipotesi viene, però, fortemente ostacolata dal governo monarchico torinese, timoroso che una istituzione romagnola costituisca un motivo di “coagulo” dell’intera opposizione repubblicana nazionale.

È in questo clima che si ipotizza un territorio regionale che incorpori la Romagna con gli ex-Ducati e le ex-Legazioni di Bologna e Ferrara per “stemperare nel moderatismo dei medesimi il rivoluzionarismo dei romagnoli”. Nel 1864 cade definitivamente l’ipotesi regionalistica e si opta per lo “Stato accentrato” di tipo napoleonico, mentre parallelamente si dà vita a “Compartimenti di decentramento statistico-burocratico”. Una realizzazione che permane fino al 1970, momento di attuazione del sistema regionalistico previsto dalla Costituzione entrata in vigore nel 1948.

Il nostro Compartimento, per questo lungo periodo, viene denominato prima Emilia, indi Emilia e Romagna. Si mettono, così, assieme due realtà del tutto eterogenee e si evoca un antico ed improprio termine (Emilia), utilizzato con la riforma augustea per la durata di un solo secolo e per un territorio non identificabile con le attuali province di Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza.

Epoca fascista

La Romagna toscana: un altro passo avanti verso l’autonomia
Anche in epoca Fascista, per merito dell’on. Giovanni Braschi, continua la battaglia romagnolista. Nel marzo 1923, con decreto del Ministro dell’Interno vengono trasferiti alle competenze della Provincia di Forlì gli undici Comuni dell’allora Circondario di Rocca San Casciano, che sono sotto la giurisdizione fiorentina.

Si tratta degli attuali Bagno di Romagna, Verghereto, Santa Sofia, Galeata, Premilcuore, Castrocaro Terme-Terra del Sole, Dovadola, Rocca San Casciano, Portico e San Benedetto in Alpe, Modigliana e Tredozio. Rimangono ancora sotto le competenze toscane Marradi, Palazzuolo sul Senio, Fiorenzuola (in area faentina ed imolese), nonché Badia Tedalda e parte di Sestino (a monte del riminese). E questo, appunto, perché il decreto fa riferimento esclusivamente al Circondario rocchigiano, e non all’intero territorio romagnolo-toscano.

L’operazione, voluta da Benito Mussolini è certamente stata “oggettiva”: realizzata da tempo l’unità nazionale, era necessario infatti, nel nostro come in altri casi, considerare l’omogeneità e la contiguità dei territori, tirandone le conseguenze istituzionali.

Sulla base del decreto, immediatamente l’on. Braschi, primo deputato romagnolo del Partito Popolare di don Sturzo (poi parlamentare e uomo di governo per la DC anche dopo la seconda guerra mondiale), propone ufficialmente al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dell’Interno di “consacrare le ragioni storiche, topografiche, etniche che contraddistinguono la Romagna, riconoscendo alla stessa il carattere regionale, anche agli effetti della riforma dei servizi e dell’Amministrazione dello Stato”.

Il Sottosegretario per l’Interno on. Giacomo Acerbo, in risposta afferma che “il sistema regionale è inaccettabile in quanto cozza coi principi unitari ai quali si informa il governo nazionale e che, in ogni caso, era giusto che la Romagna restasse legata all’Emilia, data la profonda affinità e la quasi identità spirituale”.

Italia repubblicana

Nella Costituzione le premesse per la nascita della Regione Romagna
Nel biennio ’46-’47 all’interno dell’Assemblea Costituente viene avanzata ripetutamente e da diverse parti l’ipotesi di una Regione Romagna. Il più impegnato e documentato in tale opera è l’on. Aldo Spallicci, poeta e patriota, cultore autorevolissimo della nostra storia e lingua, Padre indiscusso della “piccola patria romagnola”.

Purtroppo però, la Costituente non ha il tempo per discutere delle nuove Regioni e si decide di far coincidere il primo impianto regionalistico repubblicano con le vecchie Circoscrizioni dello Stato monarchico.

Tuttavia all’interno della Costituzione italiana viene inserito l’articolo 132 che consente, a certe condizioni e previo il responso di un Referendum popolare, di dare vita a nuove Regioni. È sulla base di questo che nel 1963, con l’assenso di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, dal distacco degli Abruzzi, nasce la Regione Molise (con meno di un terzo della popolazione romagnola).

Il dibattito/la lotta autonomistica romagnola, tuttavia, non si ferma. Ad alimentarlo provvede lo stesso Aldo Spallicci attraverso la sua Rivista “La Piê” e con iniziative di tipo propagandistico-organizzativo, l’ultima delle quali ad Imola non molto tempo prima della sua scomparsa (1973).